Oggi ho ricevuto una brutta notizia: è morto il Dottor Adolfo Arcangeli.
Il Dottor Adolfo Arcangeli è stato per diversi anni il medico che mi seguiva al reparto di diabetologia, ed è stato anche il primo Dottore che abbia mai stimato davvero.
Spero davvero di non offendere nessuno, perché ogni Dottore e Medico ha diritto al pieno e assoluto rispetto da parte di tutti, ma la mia esperienza mi porta a tracciare una linea di demarcazione piuttosto pronunciata tra il Dottor Arcangeli e tutti gli altri, e ora vi dico anche perché.
Io sono diventato diabetico a dieci anni, nel 1992. A quell’epoca la tecnologia per il controllo del diabete di tipo 1 era davvero primitiva. Pensate che i glucometri ci mettevano addirittura 2 interi minuti per darti il risultato (quelli moderni 10 secondi), le penne-siringhe con l’ago corto erano ancora in fase sperimentale e c’erano solo poche varietà di insuline.
In questi ventidue anni sono stati fatti quindi enormi balzi da gigante per quanto riguarda la commercializzazione, la concorrenza economica tra produttori di medicinali e lo sperperamento di soldi per ricerche. Viviamo davvero nel futuro.
In quegli anni di oscurantismo non si andava molto per il sottile. Con grande sofferenza si obbligava un bambino di dieci anni a passare dall’oggi al domani a una strettissima dieta che eliminava ogni cosa che fosse anche solo vagamente gustosa, a fare dei controlli serrati e spietati e analisi e test senza fine e palesemente ridondanti. Tutto questo oltre (ma stavolta inevitabilmente) a farsi tre o quattro iniezioni il giorno, più altrettanti controlli glicemici (bucandosi le dita).
Ero già largamente adolescente quando finalmente cambiai ospedale e iniziai a essere seguito da quello di Prato. La sezione di diabetologia dell’ospedale di Prato era stata fondata dal Dr. Arcangeli, che ne era il Direttore, oltre a essere il Presidente nazionale dell’associazione medici diabetologi.
Laddove avevo sempre trovato ordini, il Dottor Arcangeli mi dette consigli;
laddove avevo trovato restrizioni, il Dottor Arcangeli mi dette possibilità;
mi insegnò a trasformare la rassegnazione in speranza, lo svilimento in motivazione.
Mi responsabilizzò. Nessun altro ne era stato capace.
Per quanto orribile potesse essere stata la sua giornata, per quanto male potesse stare, non è mai successo che finisse i sorrisi e le pacche sulle spalle.
Una cosa che amava fare era strappare i fogliacci e le pratiche burocratiche ridondanti o scadute.
Chi ha sempre goduto di ottima salute e non ha mai dovuto passare settimane o mesi negli ospedali non potrà capire quanto liberatorio fosse quel gesto per il paziente.
Lui invece lo capiva benissimo, e infatti dava sempre a quell’atto una nota teatrale: un sorriso, un occhiolino, un ammicco. Un gesto intimo d’intesa, amicizia ed empatia.
Ecco la parola chiave: empatia. La capacità di mettersi nei panni degli altri, di capire i loro problemi, le loro necessità, le loro sofferenze.
Eccone un’altra: rispetto. La capacità di dare fiducia anche a chi forse non ne era degno; di non trattare i pazienti come poveri disgraziati ignoranti, ma come persone in difficoltà e bisognose non solo di cure mediche, ma anche di fiducia – in loro stesse e verso l’istituzione medica moderna -.
Ecco chi era Adolfo Arcangeli.
Un degno discepolo di Ippocrate ed Esculapio. L’archetipo di un Medico di cui oggi si è purtroppo quasi perso lo stampino.
Il “giuramento di Ippocrate” moderno recita quanto segue:
Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro:
di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento rifuggendo da ogni indebito condizionamento;
di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;
di curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno, prescindendo da etnia, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica e promuovendo l’eliminazione di ogni forma di discriminazione in campo sanitario;
di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona;
di astenermi da ogni accanimento diagnostico e terapeutico;
di promuovere l’alleanza terapeutica con il paziente fondata sulla fiducia e sulla reciproca informazione, nel rispetto e condivisione dei principi a cui si ispira l’arte medica;
di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze;
di mettere le mie conoscenze a disposizione del progresso della medicina;
di affidare la mia reputazione professionale esclusivamente alla mia competenza e alle mie doti morali;
di evitare, anche al di fuori dell’esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il decoro e la dignità della professione;
di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni;
di rispettare e facilitare il diritto alla libera scelta del medico;
di prestare assistenza d’urgenza a chi ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità, a disposizione dell’autorità competente;
di osservare il segreto professionale e di tutelare la riservatezza su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’esercizio della mia professione o in ragione del mio stato;
di prestare, in scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione.
Il giuramento originale, tuttavia, è radicalmente diverso su alcuni punti:
Giuro per Apollo medico
e Asclepio e Igea e Panacea e per tutti gli dei e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto:
di stimare il mio maestro di questa arte come mio padre e di vivere insieme a lui e di soccorrerlo se ha bisogno e che considererò i suoi figli come fratelli e insegnerò quest’arte, se essi desiderano apprenderla, senza richiedere compensi né patti scritti; di rendere partecipi dei precetti e degli insegnamenti orali e di ogni altra dottrina i miei figli e i figli del mio maestro e gli allievi legati da un contratto e vincolati dal giuramento del medico, ma nessun altro.
Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio; mi asterrò dal recar danno e offesa.
Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo.
Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte.
Non opererò coloro che soffrono del male della pietra, ma mi rivolgerò a coloro che sono esperti di questa attività.
In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario, e fra l’altro da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, liberi e schiavi.
Ciò che io possa vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori dell’esercizio sulla vita degli uomini, tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, ritenendo come un segreto cose simili.
E a me, dunque, che adempio un tale giuramento e non lo calpesto, sia concesso di godere della vita e dell’arte, onorato dagli uomini tutti per sempre; mi accada il contrario se lo violo e se spergiuro.
Mentre i patetici intellettuali moderni si scannano discutendo della presunta ridicolezza dell’invocazione agli Dei, arrivando anche a dire che Ippocrate era ateo, o sulle moderne tecniche di relazione medico-paziente – aggirando sistematicamente l’assunzione che la deontologia non sfocia necessariamente nell’impersonalità – , non possono certamente rendersi conto della più importante differenza – e grave mancanza – con il giuramento moderno:
“mi asterrò da recar danno E OFFESA“.
“In qualsiasi casa andrò […] mi asterrò da ogni OFFESA e danno volontario.”
Perché marcare? Perché aggiungere un sinonimo a “danno”?
Perché non è un sinonimo.
Laddove “danno” indica qualcosa di più fisico, “offesa” è riferito al campo della metafisica. Psicologia. Sociologia. Rapporto medico-paziente. O, per usare termini più esatti e meno distaccati, EMPATIA, RISPETTO, CARITÀ CRISTIANA, rispettivamente.
“Con INNOCENZA E PUREZZA io custodirò la mia vita e la mia ARTE.”
Non parliamo poi di cose come innocenza, purezza, o di come la professione medica fosse considerata un’arte.
Esagerazioni, diremmo oggi; parole altisonanti con le quali sciacquarsi la bocca.
Eppure, questo era: ARTE.
Il Medico dovrebbe fare il medico per VOCAZIONE, una vocazione non dissimile da quella del religioso, del pittore, del musicista, dello scrittore.
Non lo dovrebbe fare per interesse, per discendenza o perché altri si aspettano che lo faccia: dovrebbe farlo per sé stesso, perché quello è ciò che la voce del suo cuore gli dice di fare.
Il Medico che esercita per vocazione avrà sempre a cuore i suoi pazienti, perché è mosso da virtù superiori legate all’innocenza, alla purezza, all’arte.
Se ci sono dottori che stanno leggendo questo, che riflettano sulla loro professione. Che ritornino agli anni in cui balenò nella loro mente quel pensiero; alla forma, al colore, al suono, al gusto che aveva. Dove si è persa quella passione? Quand’è stato il momento esatto in cui l’amore disinteressato è diventato un calcolo? Sui banchi dell’università? Durante le faticose giornate di tirocinio? Quella volta che un paziente brutto, stupido e ignorante vi ha umiliati e vi ha urlato contro?
Eppure, non è per guadagno che dovreste esercitare la vostra professione. Non ve l’ha ordinato il dottore. Nessuno vi obbliga. “Se non lo faccio io, chi lo farà?”, vi state chiedendo? Vi rispondo: qualcun altro. Non vi preoccupate di questo.
Se stare con i pazienti vi irrita, se tendete a urlare loro contro, se testare un nuovo farmaco o una nuova tecnica vi emoziona di più che sapere di un paziente che sta meglio, se quando tornate a casa volete solo dare fuoco al genere umano, forse avete sbagliato mestiere.
Approfittate della dipartita del Dottor Arcangeli per fare un serio esame di coscienza, e valutare alcuni aspetti del vostro lavoro che forse avete vagliato con leggerezza.
Riflettete su come si comportava con i pazienti il Dottor Arcangeli. Controllate che i valori di empatia, rispetto e carità risiedano in voi come risiedevano in lui, e se lo fanno, cominciate a esercitarli. Se pensate di stare già facendolo, fatelo allora di più, con più forza, con più dedizione, con più innocenza e purezza. Date anche senza ricevere, date anche a chi non se lo merita, date e ringraziate di poter dare. Ringraziate di avere tutte le caratteristiche, le abilità e le possibilità per poter esercitare UN’ARTE.
Rinnovate il giuramento di Ippocrate e pregate gli Dei che a voi, che adempiete un tale giuramento e non lo calpestate, sia concesso di godere della vita e dell’arte, onorati dagli uomini tutti per sempre; vi accada il contrario se lo violate e se spergiurate.