Il moscerino svolazzava ubriaco.
Era un insettino nero di poco meno di mezzo centimetro, il suo volo sembrava disegnare arabeschi casuali nell’aria. A volte, quando entrava nelle zone d’ombra che la debole luce della lampada da tavolo creava nelle pareti e nelle altre forme della camera da letto, sembrava essere sparito; poi, puntualmente, tornava a girare intorno all’uomo.
Il suo rumore era debole, troppo basso per essere udito dall’uomo. In effetti, il moscerino non stava infastidendo l’uomo, ma lui comunque smise di leggere. Prese il suo segnalibro in legno leggero a forma di papero, lo mise in mezzo alle pagine che stava leggendo, chiuse il libro e lo posò sul suo petto.
‘Moscerino.’ pensò. ‘moscerino. La tua presenza è considerata superflua. La tua vita per gli umani vale un nulla. Per schernire i deboli li chiamiamo moscerini, per evidenziare le mancanze di chi non ha carattere li chiamiamo insetti. Tu sei un insetto, uno dei più piccoli, dei più deboli.’
L’uomo rimase un nuovo minuto a guardare i movimenti del moscerino, che ora si avvicinava alla sua faccia, ora alla luce da tavolo, ora al fondo del letto, continuando a seguire il suo percorso sbilenco e silenzioso.
‘Che cosa vuoi? Che cosa cerchi? Le tue colleghe zanzare cercano il sangue per nutrire i piccoli o se stesse e seguono la luce. Le mosche sono famose per la predilezione per gli escrementi. A te che cosa serve?’
L’uomo cercò di ripescare nella sua limitata cultura qualche cenno riguardante i moscerini. Si ricordò dei moscerini della frutta, che cercano zuccheri semplici per il nutrimento.
‘Zucchero? Cerchi zucchero per addolcire la tua vita? Dove lo troverai? Non nella luce su cui ogni tanto sbatti, non nel libro che sto leggendo, ne -ahimè- in questa mia carne diabetica, che tra l’altro si sta avvicinando pericolosamente all’ipoglicemia. Ma se anche non fosse, con cosa la perforeresti? Le tue amiche zanzare hanno un lungo ago appuntito sul muso; usano una sostanza chimica prodotta da loro per non far sentire la puntura al generoso ospite. Loro sono specializzate. Ma tu? Non hai aghi sul muso, non hai zampette potenti, non hai artigli, non hai denti. Sei solo, piccolo, debole, inutile. Che cosa vuoi da me?’
Il moscerino non sembrava avere doti di esper. Continuò infatti nel suo girovagare insensato, prendendo e perdendo quota continuamente, un pilota ferito che comanda un aereo trasandato. Si posò sulla mano dell’uomo.
‘E ora? Ti riposi? Può uno che fa nulla tutto il giorno avere diritto a riposarsi? Guardati: tu non vivi in un alveare. Non hai una tua flotta, un tuo sciame. Non hai obblighi verso gli altri tuoi simili. Sei solo e per te solo vivi. La tua vita è a credito. Tu ti senti a credito, vero? Non credi di avere obblighi, di dover qualcosa a qualcuno. Eppure, cerchi sollievo dal volo sulla mia mano. Ti siedi sul trono della tua rovina, della tua sconfitta. Potrei ora semplicemente chiudere la mano e porre fine alla tua esistenza superflua, moscerino. Potrei farti pagare l’affronto con sforzo alcuno. Pochi decimi di caloria per spegnere la tua vita con la mia mano. Eppure tu stai lì, tranquillo, stoico, probabilmente inconsapevole, ma chi può davvero dirlo? Io ti risparmio, moscerino: vivi.’
L’uomo riempì i polmoni, lentamente e solo un pò. Mise le labbra a cannella e indirizzò un flusso leggero verso la sua mano. Il moscerino fu travolto dall’ondata d’aria e sparì nell’oscurità della stanza.
L’uomo fissò per qualche secondo l’oscurità, poi riprese il libro dal petto, tolse il segnalibro morsicato e continuò a leggere.
Il moscerino tornò a svolazzare intorno a lui. L’uomo, senza chiudere il libro, lo guardò e sorrise. Poi sospirò.
Il moscerino, che era troppo vicino al suo naso, venne risucchiato nella narice.
L’uomo scattò a sedere, girandosi verso il comodino trattenendo il fiato, respirando con la bocca, cercando un fazzoletto. Trovò un pacchetto, ne strappò l’apertura, tirò via un fazzoletto, soffiò forte.
Lo sentiva muoversi dentro il suo naso, gli salì la nausea. Soffiò di nuovo, poi guardò il fazzoletto: era bianco e casto. Sentì di nuovo il moscerino muoversi dentro di lui.
Infilò l’indice nella narice. Ravanò con potenza, cercando l’ospite indesiderato. Ora la pietà era lungi da lui: voleva schiacciarlo, farlo uscire morto dal suo naso, non aveva più controllo.
Ripugnato, soffiò di nuovo nel fazzoletto: ancora nulla. Non sentiva più muovere, però. Ravanò di nuovo con il dito, ma non sentì nulla, e il dito era pulito. Respirò di nuovo con la bocca, il volto crucciato. Si sdraiò nel letto, ma non riuscì a prendere sonno; sentiva ancora a tratti la sensazione di impotenza, come se il moscerino fosse ancora nel suo naso. Beh, il suo cadavere non l’aveva visto, poteva effettivamente esserci ancora. O magari era uscito durante una delle soffiate, riuscendo ad evitare il fazzoletto.
E se lo avesse semplicemente immaginato? Se fosse stato frutto della sua invenzione? Della sua paura repressa e subconscia di essere sopraffatto da un essere così insignificante, così apparentemente inoffensivo?
L’uomo si sentiva solo, piccolo, debole e inutile.
quando uscira’ “il ritorno del moscerino”
Mh… Magari del moscerino no, però potrei far riscoprire la storia della cicala e la formica in un fumettino, se trovo qualche disegnatore disponibile (e adatto)… ^__^
ma l’ispirazione per moscerino l’hai presa mentre orinavi?
dai su, non piangere, molto carino il racconto
